Dalla California alla Calabria spinta dal vento lungo il 38° parallelo

In questi giorni a San Francisco il vento soffia forte. Non sono solo le raffiche a scompigliarmi prepotentemente i capelli, è piuttosto il suo vigore continuo che, se va bene, mi avvolge, se va ancora meglio, mi travolge…come l’arte.
Questo vento mi riporta come sempre con la mente a Reggio. A quelle stupide dicerie per cui quando il vento è forte e l’aria è calda sta arrivando il terremoto.
La terra che balla, o che non balla ormai da troppo tempo, è un’altra cosa che accomuna la Calabria e la California e che quindi perseguita anche me.
Il terremoto che colpì San Francisco, arrecando danni terribili, fu due anni prima del terremoto di Reggio e Messina. Nel 1906.
Lo ricordo perchè il mio vicino ha scelto questa sequenza come codice di apertura della porta del suo garage. Tanto per avere sempre in mente il pericolo in agguato, il potenziale arrivo del famoso “big one”.
In fondo tutto dipende da come uno vive quell’attesa…
C’è chi vive nel terrore e si immobilizza, c’è chi invece è motivato dalla prospettiva della fine.
Tanti artisti appartengono ad entrambe le categorie, ma quella che ho “conosciuto” oggi era decisamente una lottatrice.
Un’altra sola volta in passato, in un periodo in cui evitavo di pormi domande, l’incontro con un artista mi ha totalmente cambiato la vita. Era il 2014. Mi trovavo a Roma, vicino la stazione Termini, e avevo 3 ore buca prima della partenza del treno per Reggio.
Mentre girovagavo davanti alla stazione, notai il volto di una donna, dalle sopracciglia foltissime, che mi guardava con occhi disarmanti, su un cartello che pubblicizzava una mostra d’arte alle Scuderie del Quirinale. Non potei resistere a quello sguardo e, con una valigia di più di 20 kg, arrivai a piedi alla mostra, una delle primissime in Italia su Frida Khalo.
Varcando la soglia di quel museo non potevo immaginare che la mia vita da quel momento sarebbe cambiata per sempre.
Qualche mese dopo decisi di mollare il tirocinio a Milano, il master a Roma e la prospettiva di frequentare tribunali e scrivanie, per dedicarmi interamente all’arte.
L’incontro con Frida mi sconvolse talmente tanto da innescare dentro di me una reazione a catena, tutt’ora in corso.
Sentii di dover correre a tutti i costi verso quel qualcosa che mi aveva inondata di emozioni, verso l’arte. Verso le storie di persone che quell’attesa non l’hanno resa vana, ma l’hanno onorata dando tutte se stesse, incuranti delle conseguenze.
Frida mi ha regalato il coraggio, la voglia di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Ha acceso la miccia che custodivo nel petto.
Oggi mi sono lasciata trascinare dal vento fino al museo d’arte moderna di Sonoma, nella valle dei vini a nord di San Francisco. All’interno di quel museo ho trovato qualcuno che ha aggiunto un pò di legna fresca al falò.
Si chiama Bernice Bing, detta Bingo, è un’artista nata a San Francisco, ma di origini cinesi. La sua vita è stata un susseguirsi infinito di momenti dell’anima. Nasce a San Francisco a cavallo degli anni ‘60, è una donna, una pittrice, è lesbica, asiatica, orfana e ha subito delle violenze sessuali. Tante pene nel cuore, tanta forza esplosiva.
Si fa chiamare ironicamente Bingo perché, interessata all’introspezione e alla consapevolezza spirituale, reputa la sua vita un eterno work in progress. Un eterno susseguirsi di punti interrogativi, di “perché?”. Un’eterna sequenza di numeri che se tutto va bene riesce a fare Bingo, se va meglio continua a cercare disperatamente il numero giusto.
I suoi dipinti sono astrazioni penetranti.
La cosa che mi ha sconvolto di più di lei è il suo essere tutto e niente contemporaneamente e volontariamente.
Vive in America, ma non si sente del tutto americana, torna in Cina per riavvicinarsi alle proprie radici, impara la calligrafia cinese ed esplora i luoghi delle sue origini, ma non si sente Cinese. Torna in America e, oltre a dedicarsi alla pittura, diventa un’attivista culturale. Nella Chinatown di San Francisco la conoscono tutti perché si impegna a togliere i bambini dalla strada, dalle gang e avvicinarli all’arte. Fonda una delle prime associazioni no profit che promuovono arte fuori dagli schemi in città. “SomArts” è ancora oggi una delle realtà più vive di San Francisco. Inventa lo SCRAP, un sistema per cui tutti possono donare materiali di riciclo agli artisti da utilizzare per le proprie creazioni. Anche questo sistema è ancora attivo qui.
Bingo è anche buddista. Ama immensamente la natura e solo quando ne è immersa si sente veramente viva. I suoi dipinti sono descrizioni affascinanti del percorso che l’anima deve fare se vuole ritrovarsi, attraverso i colori della California.
Scava la pietra dentro di te, inesorabilmente, fino a lasciare che l’acqua scorra vigorosamente fuori dalla tua cascata.
Nel dipinto che ho inserito qui sotto, c’è una figura rossa in alto a sinistra, sembra intrappolata. Sono io, in apnea sott’acqua in mezzo allo Stretto di Messina.
Quella roccia in primo piano sulla destra è il mio percorso dentro me stessa, attraverso quell’Aspro monte. Quella terra in lontananza, oltre l’orizzonte, è sempre lei, la Sicilia e l’Etna, con i loro tramonti infuocati sullo sfondo.
Quando la morte è andata a bussare alla sua porta, Bernice meditava, continuava a interrogarsi su se stessa, sulla vita. Continuava a usare l’arte come strumento di coesione sociale e di introspezione poetica, di terapia per l’anima in perenne attesa.
Bingo ha cambiato il mondo.
Il mondo si può cambiare, la Calabria si può salvare, basta non smettere di porsi le domande. Basta fidarsi del vento dello Stretto.

Bernice Bing, Big Sur, Acrilico, 1967